Siempre me disgustó la clarividencia de mi padre para estropearme la vida, perturbar mis quehaceres o arruinar un instante feliz. Como esta noche en que he plantado a una linda compañera de oficina porque papá se está muriendo en un hospital de la ciudad. Sólo él es capaz de ponerse grave así de improviso, a más de tres horas de camino y en una noche lluviosa, incendiada de relámpagos.
A través de la ondulante carretera entreveo los años que pasamos juntos, adelantando siempre y discutiendo en todas las curvas. Tras el parabrisas anegado de lágrimas evoqué aquellos años infantiles, cuando admiraba su estatura y me sentía realmente protegido entre sus brazos, con las luces altas y muy tenso el cinturón de seguridad. Pero ninguno de los dos fue capaz de superar la enfermedad de mamá, que sobrevino mortal como un accidente a cientos de kilómetros por hora.
Yo presentía que hallarle aún con vida no dependía del azar, sino de la velocidad que era capaz de alcanzar, de la escasa ternura que todavía guardaba para él, de esos dulces recuerdos que ya eran más borrosos que el propio camino. En realidad quería ir cada vez más rápido, recorrer la distancia que siempre nos había separado y esquivar en el tiempo la escena primaria de nuestra ruptura. Sin embargo, como nunca he sido generoso me encendí de rencor y aceleré enfurecido hasta derrapar en los acantilados de la memoria. Viviendo nunca le perdoné. Muriendo tampoco.
Llevo más de una hora en el depósito de cadáveres del hospital y por fin le han bajado. No puedo verle por culpa del sudario, pero siento la densidad de su presencia, la indiferencia de su rigidez. Si algún curioso nos descubriera me gustaría que no sintiera lástima por nosotros, pues sólo somos dos muertos con el mismo nombre. (Fernando Iwasaki, Ajuar funerario, 2004).
A través de la ondulante carretera entreveo los años que pasamos juntos, adelantando siempre y discutiendo en todas las curvas. Tras el parabrisas anegado de lágrimas evoqué aquellos años infantiles, cuando admiraba su estatura y me sentía realmente protegido entre sus brazos, con las luces altas y muy tenso el cinturón de seguridad. Pero ninguno de los dos fue capaz de superar la enfermedad de mamá, que sobrevino mortal como un accidente a cientos de kilómetros por hora.
Yo presentía que hallarle aún con vida no dependía del azar, sino de la velocidad que era capaz de alcanzar, de la escasa ternura que todavía guardaba para él, de esos dulces recuerdos que ya eran más borrosos que el propio camino. En realidad quería ir cada vez más rápido, recorrer la distancia que siempre nos había separado y esquivar en el tiempo la escena primaria de nuestra ruptura. Sin embargo, como nunca he sido generoso me encendí de rencor y aceleré enfurecido hasta derrapar en los acantilados de la memoria. Viviendo nunca le perdoné. Muriendo tampoco.
Llevo más de una hora en el depósito de cadáveres del hospital y por fin le han bajado. No puedo verle por culpa del sudario, pero siento la densidad de su presencia, la indiferencia de su rigidez. Si algún curioso nos descubriera me gustaría que no sintiera lástima por nosotros, pues sólo somos dos muertos con el mismo nombre. (Fernando Iwasaki, Ajuar funerario, 2004).
Mi ha sempre infastidito la perspicacia di mio padre nel guastarmi la vita, sconvolgere le mie faccende o rovinarmi un istante felice. Come questa notte in cui ho piantato una bella collega d’ufficio perché papà sta morendo in un ospedale della città. Solo lui è capace di aggravarsi così all’improvviso, a più di tre ore di distanza e in una notte piovosa attraversata da lampi.
Lungo la strada serpeggiante intravvedo gli anni che passammo insieme, sempre accelerando e discutendo a tutte le curve. Dietro il parabrezza annegato di lacrime ho evocato quegli anni infantili quando ammiravo la sua statura e mi sentivo realmente protetto fra le sue braccia, con i fari abbaglianti accesi e la cintura di sicurezza molto stretta. Ma nessuno dei due fu capace di superare la malattia della mamma che sopravvenne mortale come un incidente a centinaia di chilometri all’ora.
Io presentivo che trovarlo ancora in vita non dipendeva dal caso, ma dalla velocità che ero capace di raggiungere, dalla scarsa tenerezza che ancora provavo per lui, da quei dolci ricordi che erano ormai più sfocati della strada stessa. In realtà volevo andare ogni volta più veloce, percorrere la distanza che ci aveva sempre separato e scansare nel tempo la scena prima della nostra rottura. Tuttavia, poiché non sono mai stato generoso, avvampai di rancore e accelerai furioso fino a sbandare nelle scogliere della memoria. Da vivo non l’ho mai perdonato. Neanche da morto.
Sono da più di un’ora nella camera mortuaria dell’ospedale e finalmente lo hanno portato giù. Non posso vederlo per colpa del sudario, ma sento la consistenza della sua presenza, l’indifferenza della sua rigidità. Se qualche curioso ci scoprisse mi piacerebbe che non provasse pena per noi, in fondo siamo solo due morti con lo stesso nome.
Lungo la strada serpeggiante intravvedo gli anni che passammo insieme, sempre accelerando e discutendo a tutte le curve. Dietro il parabrezza annegato di lacrime ho evocato quegli anni infantili quando ammiravo la sua statura e mi sentivo realmente protetto fra le sue braccia, con i fari abbaglianti accesi e la cintura di sicurezza molto stretta. Ma nessuno dei due fu capace di superare la malattia della mamma che sopravvenne mortale come un incidente a centinaia di chilometri all’ora.
Io presentivo che trovarlo ancora in vita non dipendeva dal caso, ma dalla velocità che ero capace di raggiungere, dalla scarsa tenerezza che ancora provavo per lui, da quei dolci ricordi che erano ormai più sfocati della strada stessa. In realtà volevo andare ogni volta più veloce, percorrere la distanza che ci aveva sempre separato e scansare nel tempo la scena prima della nostra rottura. Tuttavia, poiché non sono mai stato generoso, avvampai di rancore e accelerai furioso fino a sbandare nelle scogliere della memoria. Da vivo non l’ho mai perdonato. Neanche da morto.
Sono da più di un’ora nella camera mortuaria dell’ospedale e finalmente lo hanno portato giù. Non posso vederlo per colpa del sudario, ma sento la consistenza della sua presenza, l’indifferenza della sua rigidità. Se qualche curioso ci scoprisse mi piacerebbe che non provasse pena per noi, in fondo siamo solo due morti con lo stesso nome.